Oggi ho ripreso in mano un libro letto recentemente, “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman, libro che consiglio di leggere o rileggere a tutti. In fondo si parla di una situazione simile a quella che stiamo vivendo oggi, con i nostri spazi di vita via via diminuiti. Ormai sono tantissimi mesi senza scuola, palestra, cinema, musei, teatri, senza spazi di vera socializzazione. Siamo stati scacciati dai nostri spazi un po’ come il protagonista del capolavoro di Uhlman: lì dall’atroce follia nazista, qui dall’aggressione di un virus che fa strage senza distinzioni religiose o di appartenenza politica.
Da questo punto di vista il dolore di questo periodo dovrebbe farci vivere con più vicinanza quel periodo buio e drammatico che ricordiamo ogni 27 gennaio quando si celebra la Giornata della Memoria, il giorno istituito per ricordare le milioni di vittime della Shoa rinchiuse e sterminate nei campi di concentramento nazisti ormai più di 75 anni fa. Ma ritengo che questo giorno non possa esaurirsi in una semplice celebrazione del dolore di milioni e milioni di esseri umani. Forse il dolore, la paura che in fondo ognuno di noi sta sperimentando può aiutare a comprendere il dolore prima dell’isolamento e poi della limitazione della libertà ed infine della vita di tanti milioni di uomini per una pretesa loro diversità.
Diversità che oggi dovremmo invece proprio in questa situazione di clausura pandemica apprezzare ancora di più. In fondo stiamo in questi mesi comprendendo quanto ci manchi lo stare insieme agli altri e gli altri non sono altro che persone diverse da noi. Il contatto, lo scambio a scuola, in palestra e in ogni altro luogo ci aiuta, attraverso il conoscersi, a crescere e migliorarci.
Eppure ritornando al Giorno della Memoria dobbiamo capire come si è potuto decidere di voler azzerare ogni diversità. Come una parte della società sia stata capace di emarginare prima e perseguitare dopo sue stesse parti. È qualcosa che sembra incomprensibile. O meglio lo è se non pensiamo a come sia stato possibile, cioè senza l’indifferenza dei tanti verso quanto accadeva. Per paura forse, ma è qualcosa di davvero pericoloso. Perché se le cause sono state la paura e l’indifferenza, allora potrebbe significare aver condannato milioni di essere umani innocenti, oggi questa stessa paura ed indifferenza verso il dolore degli altri potrebbe portarci a qualcosa di grave. Abituarsi a stare rinchiusi, ad aver paura dell’altro potrebbe addirittura distruggere la nostra stessa società, per qualcosa di orribile in cui ognuno pensa a sé o al limite ai suoi familiari più vicini, solo al loro star bene, creando le basi per un futuro più terribile in cui la solidarietà potrebbe diventare un ricordo. Altro che il “ce la faremo” cantato e sventolato dai balconi della prima ondata di mesi fa. Insomma oggi come allora la sofferenza può solo metterci di fronte a due scelte: sopravvivere per ritrovarsi migliori e più solidali, oppure rinchiuderci nelle paure e nell’egoismo distruggendo l’idea stessa di futuro.
Spero che il dolore di quelle milioni di vittime da celebrare magari ci aiuti a capire come superare questo momento drammatico che stiamo vivendo, così omaggiandole, potremmo allo stesso tempo trovare la forza di ricostruire nuovi valori su cui riprendere la nostra vita, basandola su due semplici idee: solidarietà, perché nessuno può star bene in un mondo in cui ci sono tanti tipi di sofferenze; valorizzare le differenze perché dobbiamo ricordarci che senza gli altri non riusciamo a vivere bene.

di Ernesto Genova  2C

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